Si tratta di un edificio che all’epoca della sua realizzazione ha posto l’architetto a confronto con la necessità di un controllo urbanistico della forma e una volontà di esplorare le valenze espressive dei materiali, dovendo operare, quale ultimo tassello, tra edifici esistenti. Il grigiore generalizzato dagli edifici posti sulla strada d’uscita dal nucleo cittadino, quasi un mosaico di tasselli eterogenei, ha portato l’architetto a farsi carico di questa situazione frammentata, riportando tutte le linee e i cannocchiali visivi entro un rigido controllo degli spazi urbani. Ne sono risultate due ali non ortogonali tra di loro incernierate da un raccordo vetrato modulato come elemento qualificante del progetto. A questa licenza (quasi “barocca”) si affiancano facciate rigorose sia nel disegno sia per la levigata asciuttezza del marmo bianco di Carrara, con vetri di chiusura privi di intelaiature. Ma se la volumetria compie i suoi migliori sforzi per inserirsi tra le preesistenze con una discreta sospensione formale, una più marcata rottura è data dalla voglia di conferire luce e monumentalità con l’uso dei materiali. Lo studio degli spazi esterni (marmo e cotto) vuole farsi spazio nel grigiore circostante con un puntiglioso e minuzioso disegno e la cura dei dettagli interni animati da mutevoli prospettive sono affrontati con un certo compiacimento e senza falsi pudori. Un carattere distintivo, di precisa valenza, è la scelta di questi materiali “nobili” rifiutando la tendenza equivoca del ricorso a materiali “poveri” solo nelle apparenze, per riaffermare con determinazione valori materici che, già di per sé, stabiliscono i precisi caratteri istituzionali dell’edificio. Il marmo, il profuso impiego del cotto come humus dell’architettura, e poi ancora il vetro e la luce, operano in esaltante sinergia con gli elementi architettonici per reinventare nuove emozioni.
Lugano
1980
Giampiero Camponovo
Banche e Istituiti Finanziari, Progetti